Comunicazioni Elettriche

Posted on 06/02/2023 in amarcord

Metto le mani avanti: benché molte delle giustificazioni del seguito siano captationes benevolentiae dovute al fatto che i protagonisti sarebbero tuttora in grado di querelarmi per tripla diffamazione carpiata aggravata, sono tutte considerazioni sostanzialmente vere.

Tra i vari problemi del mio ben poco onorevole cursus studiorum, ce ne fu uno che molti giudicheranno un eccesso di scrupolo: il professore di Comunicazioni Elettriche era un amico di famiglia; di più, era un carissimo amico d'infanzia di mio padre. Sicché, dare un esame con lui era una cosa che mi rimaneva bloccata a metà del gargarozzo.

Ma where is a will, there's a way, e così, studiando accuratamente tabelle di marcia, orari e mappe, escogitai un piano macchinoso che, se fossi riuscito a fare l'orale esattamente il giorno X all'ora Y, mi avrebbe visto (sperabilmente) farlo e concluderlo interamente con l'assistente, e il professore tutt'al più apporre la firma a cose fatte senza magari neanche incontrarmi o rendersi conto di chi io fossi.

Purtroppo, una parte consistente del piano era resa possibile dal fatto che in quel periodo sia il prof che l'assistente erano oberati di lavoro con l'organizzazione di un qualche congresso, e con la testa da tutt'altra parte. In altre parole: una situazione potenzialmente foriera di disastro. Cosa che - al mio solito - ignorai sdegnosamente.

Giorno X, ore Y meno 90 minuti: incrocio l'assistente nel corridoio. "Buongiorno, prof. A.!" esclamo, e lui, continuando a camminare a testa bassa mormorando formule, "Dopo... me lo dice dopo, nel mio studio!" risponde. Lì, intuii che forse il carico di lavoro sullo sventurato era, come si dice, too much of a good thing; ma, di nuovo, ignorai gli avvisi che il Fato benigno stava cercando di farmi avere. E poi ormai ero in ballo, e quando si è in ballo si deve ballare.

Ore Y meno cinque minuti: busso e m'affaccio. "Ah già, gli esami," mormora l'assistente con aria angustiata. Il prof, come previsto, non si vede. HOUSTON, WE ARE GO!

"Si sieda."

Fissa nel vuoto un paio di minuti con aria assente.

Prende un pacchetto di fogli A4, bianchi. Li spinge verso di me.

Li gira di 180 gradi dal mio lato.

Questa parte è importante: un foglio A4, come ognun sa, è un rettangolo bianco perfettamente simmetrico, con due versi assolutamente identici. Lui lo gira da quello giusto.

Poi mi fa la prima - spoiler: e unica - domanda dell'orale di Segnali.

"Discuta il comportamento di un filtro a risposta impulsiva infinita (...non ricordo...) a un ingresso a delta di Dirac (...non ricordo...) la trasformata di Karhunen-Loève".

Ci penso su un attimo. Le parole - prese una a una - hanno un senso. Più o meno, capisco dove si voglia andare a parare. Conosco quel tipo di filtro, ho familiarità con la funzione delta. Cribbio, intuisco perfino a grandi linee quale debba essere il risultato.

C'è solo un piccolo, insignificante problema: ricordo perfettamente dove, in tutta la vasta mole di appunti, compare il nome "Karhunen-Loève". È proprio alle ultime righe del capitolo sulle trasformate, che termina: "...oltre alle trasformate viste adesso, ve ne sono di più complesse, a nucleo non separabile, che non tratteremo; per esempio, la trasformata di Karhunen-Loève". Punto. Fine del capitolo.

Valuto varie possibili strategie: dal simulare a occhio l'output della trasformata sapendo che tanto mi serve solo la componente principale (sarà poi vero?), al dire che quella trasformata non l'abbiamo fatta (rischiando la figura di palta e/o una domanda ancora più astrusa), a...

...alla fine, adotto la Tecnica Finale della scuola Saotome (aka fuga a gambe levate): comincio a parlare di tutto quello che so, che onestamente mi pare tanta roba, e spero nel frattempo di inventarmi qualcosa. Oh: feci così alla maturità, e mi andò benone.

Potrei proporre altre trasformate e lì incidentalmente accennare al fatto che no, la KLT non l'abbiamo fatta. Mi nasce anche una punta di timore di aver dovuto farla (perché, sul libro, ovviamente c'è), e di essere l'unico cretino infingardo e bestia che non lo ha capito, non lo ha sentito dire a lezione, o magari se lo è proprio dimenticato.

Sono passati circa 0.2 secondi.

Piano tattico: disegnare lo schema del filtro; disegnare l'ingresso; approssimare l'uscita; contemporaneamente iniziare a parlare e affogare l'assistente sotto uno tsunami di filtri, differenze con altri filtri, Dirac, Heaviside, ringing e qualunque altra cosa sotto il cielo che ponga distanza fra me e 'sta maledetta Karhunen-Loève diolabbingloria.

Prendo la penna, la avvicino al foglio, inizio: "Per calcolare la risposta-", e abbasso la penna.

L'assistente, sempre senza guardarmi, scatta: "No, no!"

..."No"? No, cosa? In che senso, "No, no", che non ho detto niente?

Ma è tardi. Quello allunga la mano, mi sfila la penna dalle dita, prende il foglio bianco, lo ruota di nuovo di 180 gradi e se lo avvicina. Comincia a scrivere a una velocità disumana, nel mentre che declama formule e considerazioni.

Non sono in grado di seguirlo. Ogni tanto, afferro un brandello di discorso, e mi si forma il timore che almeno uno di noi due sia nel posto sbagliato.

Ricordo bene un dettaglio: a un certo punto, compare il calcolo di un logaritmo in zero (no, non come limite - almeno, credo), e lì obiettai dicendo "No! Aspetti! Questo non lo può mica fare!", ma nulla, era come fermare un treno in corsa. Assisto impotente a lui che riempie fogli su fogli (alla fine in realtà quattro o cinque) mentre io cerco, senza riuscirci, di infilare mezza parola.

Dopo dieci minuti di eternità, la triste faccenda finisce. Sull'ultimo foglio campeggiano due o tre formule e un abbozzo di grafico, che corrisponde a quello che mi ero immaginato, ma è una ben magra consolazione visto che l'ha disegnato lui.

L'assistente rigira i fogli un'ultima volta, e li spinge verso di me sorridendo con aria di invito, come a dire "Visto, com'era facile?".

Vabe', io non so se dire "Grazie", "Mi scusi", "Arrivederci", "Bravo, bel lavoro", o cos'altro, ma... a questo punto, direi che l'esame è finito, senza neanche essere mai cominciato. OK, è la vita. Mi girano le scatole a mille; ma mi passerà.

Sospiro, allontano la sedia per alzarmi, e in quella si apre la porta ed entra il professore titolare.

Così, non solo mi trovo davanti al più vecchio amico di mio padre, ma pure dopo che sono stato stiacciato con ignominia dall'assistente. Nella sua tomba di R'Lyeh, il morto Cthulhu si lamenta nel sonno.

"Ah già, c'erano gli esami" esclama il professore senza neanche guardarmi. Si volta e si mette a cercare qualcosa in un mucchio di scartoffie (il suo ufficio era il posto più disordinato che io abbia conosciuto, fuori da casa mia: ma, come me e come mio padre, anche lui pareva in grado di trovare tutto. Prima o poi). "Come sta andando?", fa, rivolgendoci le spalle.

L'assistente, che di nuovo era andato in power saving e aveva preso a fissare nel vuoto, si riscuote, si guarda intorno, vede me, vede i fogli sul tavolo. Li prende. Li ruota di 180 gradi (e questo ha senso). Inizia a esaminarli (e questo ne ha meno) mentre io resto lì a bocca aperta.

"Mmmmh" mormora. "Mmmm... sssì..."

Io lo fisso con gli occhi abbastanza sgranati; sto cominciando a pensare che ora usciranno dei tizi dall'armadio, gridando "Sorridi, sei su Candid Camera!", ed è molto importante che io mi trattenga dall'assassinarli in diretta.

"Be'," conclude l'assistente riponendo l'ultimo foglio che lui aveva finito di scrivere cinque minuti prima "in alcuni punti, la matematica è un po' ardita," sentenzia, aggiungendo poi - bontà sua - "però i concetti ci sono, sì, sì."

"Hai mica visto i miei occhiali?", chiede per tutta risposta il professore, aggirandosi intorno come Mister Magoo.

L'assistente guarda in su, e (visto che, a quanto pare, ormai vale tutto) guardo anch'io in su: no, sai, tante volte gli occhiali fossero fluttuati sul soffitto. Considerato come stanno andando le cose, mi pare una opzione del tutto plausibile.

"Vabe'," si arrende il professore, "salteranno fuori. Lei si accomodi, si accomodi," mi fa, dandomi del lei.

"Ma - ma l'esame - aspetta - la domanda che mi ha fatto il professor A. -" balbetto.

"Sì, sì, andava bene, ha sentito. Si accomodi, parliamo invece un po' di codifica a modulazione di impulsi."

"Ma... ma..." - guardo l'assistente, che mi fa di sì con la testa e indica sorridendo la sedia davanti alla scrivania del professore, in quel momento occupata dagli ultimi settordicimila numeri di Communications of the ACM.

"Si sieda, ecco, bene." -- a dire il vero, sono sempre in piedi accanto alla sedia, perché ho paura che spostare qualcosa inneschi una prompt criticality nelle scartoffie dell'intero ufficio; comunque, se Dio vuole la domanda è ragionevole, l'argomento è congruente, e se solo ignoro il fatto che il professore potrebbe starsi rivolgendo a una pila di riviste mentre legge dei fogli (nel frattempo sono ricomparsi gli occhiali, credo li avesse nel taschino), e per qualche motivo incomprensibile fa finta di non conoscermi... be', dài, è un esame come un altro.

No?

E sicché comincio a parlare di PCM.

Mezz'ora dopo, dopo essermi convinto che il professore davvero riesce a leggere un documento e a scrivere degli appunti mentre segue quello che sto dicendo io, tant'è che mi ha colto in castagna un paio di volte, l'esame di Comunicazioni si conclude, e anche benino. Anzi: diciamo pure bene, va'.

Dopo un'altra decina di minuti, saltano fuori i cedolini per verbalizzarlo, senza che si siano verificati crolli nelle varie pile cartacee disposte strategicamente qua e là. Per motivi insondabili, il prof continua a far finta di non sapere chi io sia.

Io, nel frattempo, ho mentalmente cassato tutti i piani diabolici per dare l'esame il più possibile in incognito; c'ho una spia sul cruscotto che dice "FUCKS LEFT TO GIVE: 0000", sicché quando il professore mi chiede il nome sbotto, "SERNI!", con l'aria di chi dice, e adesso come la mettiamo?

"...Serni" conferma lui scribacchiando, "con la N."

Lo guardo e mi domando se, forse, negli ultimi vent'anni, io non abbia vissuto da qualche altra parte a mia insaputa. Questo scenario - che la mattina avrebbe riscosso una probabilità < 0.01% e sarebbe stato scartato con uno sghignazzo beffardo - oscilla ora sul 55%, battendo un 30% di "hanno immesso un composto allucinatorio tipo Mescal-141 nei condotti dell'aria condizionata" e un 5% di "a causa di un problema tecnico, la Matrix sta temporaneamente girando su un Commodore 64. Guasto. Con kernel Azure di Microsoft."

"E di nome?"

Dibatto brevemente quale di varie frasi sia più opportuno pronunciare; un mite e rassegnato "Leonardo, professore... Serni Leonardo" vince su "...Vito? Vito, ma sei sicuro di sentirti bene? Devo chiamare qualcuno?", "Il Soylent Green è fatto con la GENTE!" e "Mompracem vivrà!".

A mio padre, quando capitò il discorso quella sera, dissi di aver fatto l'esame solo con l'assistente.


  1. nel racconto originale di Sheckley, il gas si chiama Longstead-42; Mescal-14 è il nome adottato da Bonvi quando produsse la versione a fumetti in Storie dello Spazio Profondo