Cambridge
Posted on 22/07/2022 in amarcord
Cambridge, estati del 1984 e 1985. Per raccontarle tutte, ci vorrebbe un volume intero; basti pensare che di aneddoti credibili e riferibili ce n'ho almeno una dozzina, anche se i due anni mi si sono un po' rimescolati nella memoria.
La sera del primo o secondo giorno andai in un fetentissimo fish&chips con l'amico Valter. Osservando bene il pesce, decido di non fidarmi (saggio), e quindi (stupido) mi oriento sulle salsicce. Dico al vilissimo friggitore, "Sausage and chips, please". Questo tizio mi fissa con l'aria confusa. "WHAT?". "Errr... sausage and chips, please". "CAN'T'NDRSTAND'YE". "One SAUSAGE" - e punto il dito sulle grasse salsicce bisunte in vetrina "and some CHIPS" e indico le patatine ammosciate in un altro punto. "Please". La carogna scuote la testa. "Nae'rrstnd, boy".
Mentre mi rassegno a non cenare, Valter ha l'illuminazione. Fa un passo avanti e, giuro, scaracchia in tono autorevole: "SSJNCHPS!". Mentre io fisso la scena con gli occhi sbarrati, il friggitore si illumina e procede a riempire un sacchettino con le due diverse forme di colesterolo solido in vendita.
(Un'altra storia, 'pensa a una ragazza', la racconterò solo se Valter se la ricorda e giura per iscritto che è successo davvero, perché se no io stesso avrei dei dubbi - come diceva coso, one does not simply walk into altjirrinja).
Una settimana o due dopo, sempre con Valter, avevamo fatto coppia con due figliole (ovviamente italiane) e andammo in un pub a prendere un toast. Ci sediamo, e ci rendiamo conto che tutti i tre avventori ci guardano storto. Il barista (rectius: publican) dopo cinque minuti a pulire ostentatamente il banco ignorandoci, si rassegna e prende l'ordinazione. Due toast e due Coche. Mi piazza sul bancone due Coche rase col menisco, io le guardo incerto, poi con una cannuccia aspiro un centimetro da entrambe per poterle portare al tavolo senza sbrodolare (c'è una scena simile nel film "Danton", risolta in modo più elegante ma al di là delle mie capacità), guadagnandomi uno sbuffo iroso. Arrivano i toast, e questi almeno ce li porta al tavolo: ma ce li fa atterrare lanciandoli da cinque centimetri con pure il mezzo giro, tipo osso tirato al cane.
Capita la ràgia, mangiamo in fretta, paghiamo e fuggiamo a gambe levate. La sera, mi querelo del fatto accaduto con Pino dell'Hotel Sorrento, che conoscevo - l'hotel, non Pino - per motivi su cui preferisco sorvolare. "Pino, al pub c'hanno trattato veramente di merda!". Pino si stupefà. Ma come, dice. Impossibile. Ma che avete detto, ma come è andata. "E nulla, s'era Valter, io, la Simo, Raffaella, e questi erano matti nel capo... che poi ora che ci penso erano anche vestiti un po' strani...". Pino mi guarda improvvisamente insospettito. "Eravate usciti da scuola... quindi, eravate a Lyon's Yard?" "E dìe no." "E... magari... il pub... non è che per caso, no, dico, non sarete mica andati al Fountaine Inn?" "Son quasi sicuro che era quello, il nome" dico (cit. involont.). Pino procede ad ammazzarsi di risate. Al mio sguardo corrucciato, si degna di spiegare, "Leo... siete entrati con due ragazze nel ritrovo di tutti i gay di Cambridge."
Un episodio che è, mi dicono, ai limiti del credibile... con un altro amico, un ragazzo di Istanbul di nome Vitali, e due figliole - non le stesse di prima, quindi forse è successo in un anno diverso; non che ci fosse un legame romantico, ma non sarebbe ugualmente stata una cosa galante - si va a fare punting sul Cam. A un certo punto si attracca, ma Vitali non tiene conto, sporgendosi in avanti per mettere l'ormeggio, che il suo movimento spinge la barca indietro: così, manca l'argine e piomba in acqua. Dove perde gli occhiali (che erano più spessi dei miei). Disastro completo, orrore e disperazione. "E ora che si fa?".
Al che, ho una di quelle che il mio psichiatra insiste che io non chiami idee geniali (penso che sia invidioso). Rapido e agile mi riduco in mutande e mi siusko nel fiume Cam, se tanto mi dà tanto vicino a un cartello "DIVIETO DI BALNEAZIONE - YES, THIS MEANS YOU". Il fondo è limaccioso, l'acqua oltre che torbida è soprattutto fredda che s'abbaia, ma io c'ho dalla mia il dio dei pazzi e degli scriteriati (e, sostengono alcuni, il senso densitometrico rigelliano), e alla prima - o quinta - immersione gli recupero gli occhiali. Le ragazze, testimoni del mio atto eroico e del mio fisico statuario, non mi rivolgeranno mai più la parola, e rimettendomi i pantaloni sulle brache bagnate, darò per il resto del pomeriggio l'impressione di essermi pisciato addosso.
E infine, una scena da film. Qualche giorno dopo siamo al Wimpy's o McDonald's o KFC o comunque fastfood-colesteroleria di Lyon's Yard, in sei a un tavolo - metà della classe "Blue Four" - s'era in chiusura, e sono con questo ragazzo, Rolf-Dieter si chiamava. Un romanzo in forma di figliolo: diciott'anni, figlio di uno che è poco - pochissimo - meno nazista di Goering, al punto che quarant'anni dopo la fine della guerra, a casa a Dusseldorf, tutte le mattine Rolf-Dieter deve fare il saluto nazista al busto del Fuehrer (lo so, era solo la sua parola: ma, dopo averlo visto i primi cinque o sei giorni, ci credo senza riserve).
Non so, e non saprò mai, penso, cos'avesse posseduto il suo signor padre per mandare Rolf in Inghilterra. Una cosa la ricordo: il primo giorno che mi rivolse la parola (more on this later), che gli chiesi da dove arrivasse la cicatrice che aveva su una guancia. "Noi abbiamo questo sport" mi disse, "legati per il braccio sinistro, ci si deve buttare fuori da un cerchio, disegnato in terra, a coltellate". Io pensai a cosa mi sarebbe successo in casa se fossi tornato con la faccia slacciata a quella maniera; o anche solo se i miei avessero saputo o sospettato di un simile mio "sport". Chi, fra genitori e nonni, sarebbe riuscito ad ammazzarmi per primo. "E... i tuoi, che t'hanno detto?", chiesi. "Mio padre era fiero di me. 'Ora mio figlio è un uomo' ha detto." "Ma e la tu' mamma?" "Lei è una donna. Non conta". Nota: per i primi tre giorni, non mi aveva parlato perché italiano, dunque traditore. Al mio compagno di classe José non rivolse la parola per tutta la prima settimana in quanto visibilmente non ariano e di razza inferiore.
Però... Rolf-Dieter aveva diciott'anni, era un tòcco di figliolo pieno di muscoli e ormoni; c'è qualcosa che tira, anche in salita, più di tutta la Wehrmacht in discesa; e la ragazza messicana che avevamo in classe, beh, quella cosa la possedeva in abbondanza, insieme a un debole per i vikinghi alti e biondi con gli occhi di ghiaccio. Dopo dieci giorni, Rolf era rientrato quasi completamente nella razza umana, aveva subìto una rilevabile perdita di peso (okay, questo non è vero), e ci si poteva ragionare. Dio sa cosa sarà stato di lui al ritorno a Dusseldorf; ogni tanto mi domando chi, fra lui e il su' babbo, avrà ammazzato l'altro, e spero sia stato Rolf.
Ma, sempre lì a Cambridge, c'erano anche questi tipi detti skinhead, che francamente facevano paura. Vidi io con questi occhietti porcini uno skinhead "fermato" dalla polizia in Gonville Place: lì e allora, "fermare" significa che lo stavano manganellando che pareva la fiera del santo patrono, e nonostante questo, per tenerlo a terra mentre gridava e scalciava sciagattato e insanguinato, erano a malapena sufficienti cinque poliziotti. Uno dei nostri, Malcolm, una sera lo incocciarono per strada e così, senza un perché, lo massacrarono di botte: lo trovarono all'alba nel rigagnolo.
Così, mentre eravamo lì a mangiare patatine, lo skinhead più grosso, brutto, incazzoso e ricoperto di spille e ferraglia che si possa immaginare entra, fa l'ordinazione ed esce -- e passando accanto al nostro tavolo spia José, si ferma di botto e gli fa con aria insospettita, "Ehi tu, di dove vieni?". José, uno e sessanta per quindici chili, risponde sommesso "Dal Messico", e questo monte di sudicio sbotta, "Straniero fottuto!", e gli sputa in pieno viso.
Non faccio a tempo a rendermi conto che è successo davvero, che Rolf, in un unico movimento, si alza e gli molla un destro da cinematografo in piena faccia. Questo, tipo film con Bud Spencer, non solo casca indietro e finisce in terra, ma scivola anche sul piastrellato per tutta la lunghezza del locale (aveva addosso talmente tante catene, chiavi inglesi e cazzibuffi che praticamente era uno slittino umano), e schianta la testa contro il gradino delle casse con un distinto "CROCK".
Io penso inorridito "Oddio. L'ha ammazzato!", e mentre lo penso, lo skinhead si rialza. "Oddio. Ora ci ammazza tutti!", penso, con poca coerenza.
Invece, questo si rimette in piedi con nonchalance, si spolvera, raccatta la sua mercanzia (igiene portami via) e rifà la strada di prima. Passa accanto al nostro tavolo, si guarda negli occhi con Rolf, fa "Hm!" annuendo con aria di approvazione ed esce, faccia scianguinata e tutto.
Dieci minuti dopo siamo costretti a uscire, e fuori c'è un semicerchio di skinhead che ci guardano seri. Rolf guarda il tizio di prima, calmo calmo, poi ci fa, "Let's go", e s'incammina verso casa senza guardarsi indietro, con noi dietro dietro ammassati tipo anatroccoli.